Eroi e Miti della Tomba François
Inauguriamo con questo primo articolo una nuova rubrica dedicata alle biografie dei personaggi raffigurati all’interno della Tomba François, il grandioso ipogeo che la famiglia vulcente dei Saties fece realizzare nel corso della seconda metà del IV secolo a.C.
Da qualche tempo la Fondazione Vulci è impegnata in una campagna la cui finalità è quella di “riportare” il ciclo pittorico che, in origine, ornava le pareti dell’atrio e del tablino della tomba, nel nostro territorio. La missione è certamente ardua ma il tentativo ci sembra assolutamente condivisibile affinché si possano finalmente apprezzare questi splendidi affreschi che, a buon diritto, rappresentano un vero e proprio capolavoro pittorico.
Il ciclo venne infatti distaccato dalla sua sede naturale nel lontano 1863 e, fatte salve alcune rare occasioni, non è stato più possibile ammirare in tutta la sua magnificenza.
Per questo la Fondazione Vulci sta profondendo le sue energie in un’opera di sensibilizzazione nei confronti dei “custodi” di questo grande tesoro non solo artistico ma anche storico, per riuscire a far tornare questi personaggi nella loro antica dimora: Vulci.
La Tomba François
L’ipogeo dei Saties, universalmente noto come Tomba François, venne scoperto nella primavera del 1857 dall’archeologo fiorentino Alessandro François che, in società con Noël Des Vergers, letterato francese e membro dell’ Istituto di Corrispondenza Archeologica, e con il principe Alessandro Torlonia, aveva dato inizio ad una campagna di ricerche nelle proprietà del Principe a Cerveteri e a Vulci.
Le indagini dovevano iniziare il 16 Marzo alla Cuccumella, ma poiché tutta l’area circostante era coltivata a grano, non si poté procedere allo scavo del tumulo per cui i lavori furono indirizzati sulle altre aree ove peraltro era stato già previsto che si intervenisse.
Così il 19 marzo ebbero inizio dei saggi in diverse località fra cui una collinetta sovrastante il Prataccione. Alessandro François, prima di iniziare i lavori di scavo, era solito effettuare una serie di ricognizioni per individuare sul terreno tracce riconducibili a presenze archeologiche. Fu proprio nel corso di una di queste perlustrazioni che “ … arrivai ad un poggio di travertino, alle cui falde furono ritrovati da S.A. il principe Luciano molti e ricchi sepolcri. Salito sulla sommità di esso … in non lieve lontananza scopersi una lunga fila di annose querce, la di cui verdeggiante chioma era prova evidente di vegetazione floridissima, la quale non poteva derivare che da una polpa di terra assai profonda. ”
Era appena trascorsa la prima metà del mese di Aprile del 1857 e la sua perseveranza stava per essere ricompensata dal ritrovamento di uno fra i monumenti più importanti e famosi della cultura etrusca: l’ipogeo della famiglia dei Saties, passato alla storia con il nome del suo scopritore. Alessandro François aveva infatti intuito che la presenza di alberi così rigogliosi su questa parte del costone, ove lo spesso strato di travertino affiorante non permette la vita se non a piccoli arbusti, e il loro perfetto allineamento erano conseguenti alla presenza di una profonda cavità dovuta all’intervento umano. Si trattava infatti del lungo corridoio di accesso all’ eccezionale ipogeo.
Egli ordinò che si procedesse all’individuazione del perimetro di quella depressione; “Poche zapponate bastarono a darci la certezza del mio pensiero … e dopo due giorni di lavoro si poté desumere la lunghezza della strada in palmi 150 (m 33,60 ca), e la di lei larghezza in palmi dieci. (m 2,40 ca) ” Poiché le dimensioni del dromos della tomba erano imponenti, risultò evidente che si doveva trattare di un sepolcro di grande importanza. Durante le fasi in cui le maestranze si adoperarono per rimuovere il terreno che riempiva la strada della tomba, dalle lettere che inviava ai suoi soci si avverte con quanta trepidazione il François seguisse il procedere di questi lavori. Anche dopo la scoperta al di sopra dell’ipogeo della tomba vuota da dove le spoglie degli antenati della famiglia Saties erano state traslate per essere deposte con i dovuti onori nella cella V dell’ ipogeo non appena realizzato, François mantenne il suo entusiasmo : “L’allegrezza che in quel momento invase l’anima mia fu tale, che non vi può esser penna nè talento atti a descriverne l’estensione”. Quando finalmente arrivò alla “ … porta larga quattro palmi (m 0,90 ca) … ed alta dodici (m 2,70 ca) … chiusa da una doppia lastra di nenfro, la quale abbattuta si poté penetrare nell’interno dell’ipogeo. ” certamente grande dovette essere lo stupore davanti alle pitture che si presentarono alla sua vista, anche se egli nel suo resoconto riserva loro soltanto pochi cenni precisando “al benigno lettore che io intesi soltanto descrivere la parte storica dello scavo, …essendovi incaricato il mio chiarissimo amico e socio sig. cav. Des Vergers della descrizione scientifica di questo grande ipogeo”. Egli comunque annota che le pareti “erano coperte di eccellenti pitture” che gli ricordavano “ i bei tempi del Botticelli e del Perugino”. Soltanto i nomi in etrusco apposti presso le figure gli chiarirono che ci si trovava di fronte ad un’opera antica e non del Rinascimento.
L’ipogeo si articola in sette camere funerarie disposte intorno all’atrio ed al tablino sulle cui pareti era il grandioso ciclo pittorico che attualmente, dopo il distacco operato nel 1863 su indicazione dei Principi Torlonia, è conservato a Roma nella Collezione Torlonia a Villa Albani.
Gli affreschi, disposti su uno strato di cocciopesto, erano interrotti soltanto dalle cornici delle porte.
L’identificazione dei personaggi raffigurati, è facilitata dalla presenza del nome riportato in etrusco, accanto ad ogni figura.
Il fregio figurato alto 130-150 cm, muove dalla porta nella parete di fondo del tablino, a sinistra della quale, è il sacrificio dei prigionieri troiani compiuto da Achille in onore di Patroclo.
Apre il corteo truials, (prigioniero troiano) nudo e con le mani legate dietro la schiena, i tendini delle gambe recisi per evitare che potesse scappare, trattenuto con una corda che gli passava intorno al collo, era trascinato per i capelli al sacrificio da Aivas Vilatas (Aiace d’Oileo). Segue un altro truials, condotto all’immolazione dall’energico Aivas Tlamunus (Aiace Telamonio).
La scena più importante è a sua volta definita dalle figure di Karu (Caronte), con incarnato verde-bluastro, caratteristico colore della putrefazione, e di Vanth due demoni infernali etruschi, che osservano Acle (Achille) mentre sgozza un terzo truials. Dietro a Vanth compare hinthial Patrucles (l’ombra di Patroclo) che attende la fine del sacrificio per poter varcare la soglia del mondo dell’Ade; da ultima è la possente figura di Acmenrun (Agamennone) re dei Greci che combatterono sotto Troia. Sulla parete opposta si sviluppa invece una scena ove è rappresentata una impresa vittoriosa compiuta da un manipolo di eroi etruschi guidati da Avle Vipinas (Aule Vibenna). L’episodio si apre con la figura nuda di Caile Vipinas (Celio Vibenna) che sta allungando le braccia verso Macstrna (Mastarna) per farsi sciogliere i polsi legati. Questo, a sua volta nudo, con una delle due spade che porta a tracolla, sta tagliando i lacci che tengono serrati i polsi del compagno. Dietro a Macstrna c’è Larth Ulthes, vestito con una corta tunica colto, mentre afferrati i capelli di Laris Papathnas Velznac, lo sta trafiggendo con la spada. Intanto, Pesna Arcmsnas Sveamac, viene sgozzato da Rasce, mentre il capo della spedizione Avle Vipinas (Aule Vibenna) sta recidendo con la spada la carotide del biondo Venthical.
La scena prosegue nella parete destra dell’atrio con Marce Camitlnas che, afferrati i capelli di Cneve Tarcunies Rumac, sta estraendo la spada. Questo a sua volta, con il braccio destro sollevato, afferra il fodero della spada di Marce Camitlnas cercando di bloccarne l’azione.
Sul lato opposto sono raffigurati i due fratelli Pulunice (Polinice) ed Evthucle (Eteocle) che si stanno uccidendo a vicenda.
Sulla parete sinistra sono in successione Nestur (Nestore) re di Pilo e consigliere dei Greci che assediavano Troia e Fuinis (Fenice) l’educatore di Ercole ed Achille.
Il lato sinistro dell’ingresso era occupato dalla figura dell’aggressivo Aivas (Aiace d’Oileo) e della sacerdotessa Casntra (Cassandra) che cerca di sfuggirgli aggrappandosi ad una statua di Afrodite.
Sul lato destro compare Amjare (Anfiarao) che osserva Sisje (Sisifo) controllato a sua volta da una divinità alata.
Seguono, sul resto della parete, le figure di alcuni componenti la famiglia Saties; da un frammento si potrebbe ipotizzare che nel primo quadro fosse Vel Saties con in mano un ramo di melograno a cui segue, nello specchio della porta, l’immagine incorporea di un antenato di Vel Saties, la cui figura, questa volta completa, ritornava nel successivo quadro.
In questo caso il personaggio è rappresentato riccamente vestito, coronato d’alloro mentre, con il volto girato verso l’alto, sta per trarre auspici dal volo di un picchio, trattenuto con una cordicella da Arnza, giovane servo con i capelli rossi, accovacciato.
Nell’atrio il ciclo pittorico era limitato in alto da un vivace fregio animalistico, interrotto a sua volta da due teste femminili poste al centro della parete destra e della parete sinistra, dove compaiono fra l’altro, gazzelle, cavalli, colombe, leoni, grifi, pantere, cerbero, iene, lupi, serpenti ecc.; in particolare, alla presenza di animali da preda forse va data una valenza apotropaica contro i demoni malvagi oppure la stessa andrebbe riferita ad una possibile “irrequietezza” delle anime dei defunti stessi, mentre la figura del serpente ha carattere puramente ctonio e si riferisce agli Inferi.
Va peraltro il fatto che tutte le immagini erano rese con una raffinata prospettiva assonometrica per cui, attraverso un efficace effetto di chiaroscuro, ottenuto con pennellate di colore più chiaro, si riuscì a creare l’illusione che, nella parte mediana del tablino e dell’atrio, ci fossero fonti di luce provenienti dal basso, dall’alto e da un lato.
Nemmeno la stanza di fondo venne privata dei dipinti che, tuttavia, sono estremamente semplici; su uno zoccolo è una fascia di color giallo ocra su cui poggia una doppia fila di finti blocchi rettangolari che costituisce uno dei primi esempi del c.d. “I° stile pompeiano”.
Un breve cenno sulla storia del mausoleo.
Precedente alla tomba della quale sono appesa stati descritti gli affreschi, esisteva un altro ipogeo scavato ad una quota più alta rispetto a quello descritto.
Questa camera, alla quale sarebbe pertinente anche il primo tratto del dromos, è riconoscibile nella tamponatura sopra la parete d’ingresso alla tomba attualmente visitabile e forse ospitava i corpi che successivamente furono traslati all’interno del vano con la porta affrescata.
Le cause dell’abbandono di questa prima tomba sarebbero da imputare alla eccessiva fragilità dello strato geologico nel quale era stato realizzato l’ambiente che, non permettendo ulteriori allargamenti, impediva di realizzate un ipogeo la cui grandiosità avrebbe dovuto riaffermare il livello sociale della famiglia Saties.
All’ultima fase, databile fra il III ed il II secolo a.C. vanno infine riferite le tre camere ed i cinque loculi scavati nelle pareti del dromos.
Per concludere questa breve descrizione della T.F. va detto che l’ipogeo risale alla metà del IV secolo a.C.. Opera di maestranze assai esperte, vide operare al suo interno artisti la cui esperienza riporta ad un ambito culturale non propriamente etrusco. Infatti la raffigurazione del sacrificio dei prigionieri troiani è confrontabile con immagini sui vasi apuli del pittore di Dareios, la rappresentazione di Patroclo con le bende, ha dei precedenti nella pittura vascolare apula, così come il fregio animalistico e le protomi femminili nell’atrio, che, nuovamente, rivelano influssi con decorazioni sulla ceramica apula e con motivi ornamentali presenti nella Tomba del Magistrato di Paestum.
Spiegazione storica del ciclo
L’aspetto più propriamente etrusco dell’intero ciclo è indubbiamente costituito dalle scene di lotta fra eroi etruschi forse da collocare nel quadro delle lotte per il dominio di Roma.
Alla liberazione di Celio Vibenna da parte di Mastarna (Servio Tullio), seguono scene di combattimento nelle quali personaggi presumibilmente originari di Vulci, uccidono con un attacco di sorpresa forse compiuto di notte, altri personaggi etruschi, originari di Volsinii, Sovana (?), di una non meglio precisata località forse veneta e di Roma, che forse stavano dormendo.
E se fosse Roma il teatro di questa azione, ci troveremmo di fronte alla raffigurazione delle lotte che ebbero luogo, verso la metà del VI secolo a.C., fra il futuro Servio Tullio, sostenuto dai fratelli Vibenna ed i Tarquini che occupavano il trono, a loro volta alleati ad altre città etrusche, per la supremazia sulla città.