IL SACELLO D’ERCOLE
Il Sacello di Ercole, posto immediatamente a ridosso della Porta Est di Vulci sul lato meridionale del Decumano, è uno dei luoghi di culto rinvenuti all’interno della Città.
La struttura è costituita da un ambiente di forma rettangolare, orientato in direzione E/O, costruito in opera quadrata con blocchi di tufo rosso al cui interno è tuttora collocata una base in nenfro rinvenuta in occasione di precedenti indagini archeologiche.
Il Sacello fu casualmente scoperto durante la campagna di scavo del 1956 a seguito di una frana del terreno causata dalla pioggia che rivelò la parte superiore di un cippo in travertino recante un’epigrafe dedicatoria.
La struttura fu inizialmente denominata stipe di “Petronio”, in riferimento al nome iscritto sul cippo, mentre l’indagine sistematica dell’area iniziò a partire dal 1957, in base alla convinzione che in quest’area vi fosse la testimonianza dell’esistenza di un edificio sacro.
Lo scavo interessò la porzione nella quale era venuto alla luce il monumento in nenfro e, con l’avanzare delle indagini, il progressivo emergere di blocchi all’interro e le tracce rilevate attraverso le prospezioni geofisiche, cominciarono a delineare il perimetro della struttura.
Dopo un’operazione preliminare di asportazione di una massa di terreno detritico, furono individuati una serie di strati che permisero di recuperare il suddetto cippo votivo con l’iscrizione dedicatoria C.
PETRONIUS/ C. HILARUS/ REICLARIUS/ S(USCEPTUM) V(OTUM) S(OLVIT)
L(IBENS) M(ERITO), una statuetta fittile rappresentante Ercole imberbe,
una serie di teste fittili votive e frammenti pertinenti a lucerne a disco, ceramica aretina e campana.
L’analisi dei materiali permise di fissare la cronologia di questo livello al II secolo d.C. mentre ad una fase molto più antica sono riferibili un nucleo di bronzetti votivi raffiguranti Ercole, una cerva, un leone, un ramo ardente, un serpente ed alcune testimonianze numismatiche, tra le quali una moneta appartenente alla prima serie detta “romano-campana”, che consentì di datare lo strato all’interno del quale detti reperti vennero rinvenuti, tra gli ultimi decenni del IV secolo ed i primi anni del III a.C.
Eracle
Il nome del figlio di Zeus ed Alcmena in origine si chiamava Alcide (patronimico dal nome del nonno Alceo) ed era discendente, da parte di madre, di Perseo. 1
Questo nome che evoca in greco l’idea della forza fisica gli fu cambiato per punizione dalla Pizia, dopo che l’eroe, impazzito, aveva fatto strage dei suoi figli avuti da Megara e di due di quelli di Ificle. Da quel momento Alcide si chiamo Eracle vale a dire “la gloria di Era”. Alcide nacque a Tebe perché il padre degli dei approfittando dell’assenza di Anfitrione partito in guerra contro i Teleboi, per ingannare Alcmena l’ultima mortale con cui Zeus giacque, assunse le sembianze del marito e durante una notte prolungata per suo volere, lo generò con il proposito di impedire la fine degli uomini e degli dei.
L’anniversario della nascita dell’eroe era comunemente posto a metà inverno come quello di Zeus, Apollo ed altre divinità calendariali.
Anfitrione tornato il mattino seguente diede ad Alcmena un secondo figlio, Ificle, gemello di Alcide ma più giovane di lui di una notte.
L’ira implacabile di Era l’avrebbe perseguitato prima ancora della sua nascita.
Non volendo che il figlio della sua rivale godesse delle fortune che il Fato gli prediceva, la dea fece si che, nel parto Euristèo figlio di Stenelo avesse la precedenza sul cugino Alcide, e, in forza della primogenitura, questi potesse imporre al cugino le famose dodici fatiche, dalle quali Era sperava non potesse, alla lunga, uscirne incolume.
Quando il bambino nacque Alcmena timorosa dell’ira di Era abbandonò il neonato in un campo fuori dalle mura di Tebe; per istigazione di Zeus, Atena condusse Era a passeggiare fuori alle mura di Tebe e visto l’anonimo bambino lo prese fra le braccia invitando la madre degli dei a dargli del latte; Era lo prese ed Alcide le si attaccò ma mentre l’eroe si sfamava, le morse un capezzolo, dacché Era lo allontanò da se lasciando così cadere delle gocce di latte, dalle quali sarebbe nata la Via Lattea.
Ma ormai il fanciullo era divenuto immortale. Perciò i Tebani lo consideravano come un figlio e riferivano che fu, questo motivo per cui gli cambiato il nome in Eracle in onore di lei Le imprese leggendarie cominciarono da quando, bambino di circa otto mesi, strozzò i due mostruosi serpenti mandati da Era per soffocarlo.
Un’altra tradizione riferisce invece che i serpenti erano innocui ed erano stati messi nella culla dallo stesso Anfitrione per sapere quali fra Alcide ed Ificle fosse suo figlio.
Comunque Alcmena, a seguito di questo evento, andò a consultare l’indovino Tiresia che le predisse il grande avvenire del futuro eroe. Cresciuti d’età, Alcide ed il fratello ricevettero un’educazione simile a quella dei bambini greci vissuti nel periodo classico; dal centauro Chirone appresero di medicina e chirurgia, Autolico o Arpalico fu il loro maestro di pugilato, lo scita Tetauro gli insegnò il tiro con l’arco, il padre Anfitrione l’iniziò alla guida del carro; Castore gli insegnò ad usare le armi ed infine Lino, si occupò di dare i rudimenti delle lettere e della musica ai giovani. Tuttavia il maestro un giorno richiamò il giovane eroe e cercò di punirlo. Al che Alcide irritatosi, afferrò uno sgabello e lo uccise. Accusato d’omicidio, si salvò citando una sentenza di Radamanto secondo la quale si aveva il diritto di uccidere un avversario in caso di legittima difesa. Morto Lino, Eumolpo si prese cura del loro perfezionamento nella musica.
Tuttavia il padre temendo che potesse commettere altri crimini, lo mandò a pascolare le mandrie in un suo possedimento.
Giunto all’età di 18 anni, l’eroe compì la sua impresa uccidendo il leone di Citerone una fiera imponente che nessun cacciatore osava affrontare e che faceva strage delle mandrie di Anfitrione e di Tespio, re di un paese vicino Tebe.
Durante quest’impresa Tespio che aveva 50 figlie, desiderando una progenie dall’eroe, fece in modo di mettergli nel letto ogni sera una figlia diversa; da queste unioni nacquero altrettanti figli, conosciuti come i Tespiadi. Ucciso il leone, mentre Alcide di ritorno, incontrò i legati del re d’Orcomeno a cui i Tebani dovevano pagare un tributo di 100 capi di bestiame per 20 anni in quanto anni prima l’auriga Meneceo, tebano, aveva ucciso il loro re Climeno; il giovane, dopo averli insultati, tagliò loro il naso e le orecchie ed infilatili in una cordicella glieli attaccò al collo rimandandoli ad Orcomeno; quando il re Ergino li vide mosse guerra a Tebe. Nella battaglia che ne seguì grazie all’eroe i Tebani sconfissero le schiere degli Orcomeni ed il re di Tebe Creonte per ringraziare Alcide del servizio reso alla città, gli diede in moglie la figlia maggiore Megara mentre la minore fu data in sposa ad Ificle. Megara diede vari figli ad Alcide (otto secondo alcuni, altri ne ricordano sette o tre) che tuttavia Alcide impazzito uccise insieme a due figli di Ificle, buttandoli nel fuoco. Arrivò persino a minacciare il padre Anfitrione tanto che dovette accorrere Atena che colpì il petto dell’eroe con un sasso provocandogli un sonno profondo. La ragione di questi delitti è generalmente attribuita ad Era che scatenò in Alcide questo eccesso d’ira il quale avrebbe provocato in lui un’impurità morale che lo avrebbe costretto a sottomettersi ad un’espiazione ed anche perché l’eroe esitava a recarsi ad Argo per mettersi a servizio di Euristeo Dopo questi crimini, Alcide andò a Delfi a consultare la Pizia e questa, oltre a cambiargli il nome da Alcide in Eracle, gli ordinò di mettersi a disposizione del cugino Euristeo per un periodo di dodici anni e di compiere tutte le fatiche che Euristeo gli avrebbe detto di compiere. Apollo aggiunse che come premio per le sue fatiche avrebbe ottenuto l’immortalità.
In genere le dodici fatiche vennero suddivise in due gruppi di sei: la prima serie vide come teatro il Peloponneso mentre le seconde sei videro Eracle protagonista in varie parti del mondo allora conosciuto. Quando Eracle iniziò le sue fatiche, Ermete gli donò una spada, Apollo un arco con frecce adorne con piume d’aquila, Efesto una corazza d’oro e Atena un mantello. Ed inoltre lo zio Poseidone una coppia di cavalli e suo padre Zeus uno scudo decorato con 12 teste di serpenti che, ogni qual volta Eracle iniziava un duello o una battaglia, aprivano le fauci spaventando i nemici. Accompagnato dal primogenito di Ificle, Iolao, iniziò le prove impostigli da Euristeo.
– Il suo primo cimento fu la lotta col leone di Nemèa, fratello della Sfinge, nato da Ortro figlio di Tifone e da Echidna, che non era possibile uccidere con le armi, perché la sua pelle era invulnerabile e non poteva essere intaccata né dal ferro né dal fuoco. Dopo averlo inutilmente colpito con le frecce e stordito con i colpi della sua clava, per aver ragione di lui l’eroe lo costrinse a rifugiarsi nella tana e qui lo strozzò.
Poi incisa la pelle con i suoi stessi artigli scuoiò la belva facendosi della testa un elmo e del resto della pelle una veste. A corollario di questa fatica è l’episodio di Molorco, un povero contadino che abitava vicino a Nemea il cui figlio era stato ucciso dal leone.
Questi accolse Eracle e per onorarlo, voleva uccidere l’unico capro che possedeva; ma Ercole gli disse di aspettare 30 giorni. Se passato questo tempo non fosse ritornato, Molorco avrebbe sacrificato l’ariete alla sua memoria, altrimenti al suo ritorno, avrebbero offerto l’animale a Zeus Salvatore.
Ed infatti al suo ritorno i due offrirono il capro in dono al padre degli dei ed Eracle sempre in onore del padre, istituì i Giochi Nemei.
– La seconda fatica consistette nell’uccisione dell’Idra di Lèrna.
L’Idra era un mostro figlio di Echidna e Tifone, allevata da Era per servire come prova ad Eracle. All’idra veniva attribuito dalle fonti un numero di teste variabile, per lo più sette o nove (secondo altre fonti anche cinquanta), di cui quella centrale era immortale. L’incertezza deriva anche dal fatto che, ogni volta che una testa veniva tagliata, ne ricrescevano due. La si trova anche rappresentata come una donna con gambe erpentiformi e come un serpente con testa di Medusa. Il suo corpo era, per metà quello di una bella ninfa e per metà, quello di un serpente: un mostro terrificante il cui veleno, secondo un oscuro oracolo, sarebbe costato la vita all’eroe. La predizione si avvererà puntualmente: infatti Eracle, pur essendo uscito indenne dall’avventura, morirà proprio a causa del veleno dell’Idra. L’alito che usciva dalle sue gole era così pestilenziale che chiunque le si fosse avvicinato, anche quando stava dormendo, moriva tra atroci sofferenze. Inoltre distruggeva i raccolti Eracle si recò ad affrontare l’Idra, su incarico di Euristeo, che abitava su una collina presso le sorgenti del fiume Animone. L’eroe provò a stanarla colpendola, ma l’Idra gli si avvolse attorno ad una gamba e, mentre Eracle cercava di sfondarle le teste con la clava, esse ricrescevano in numero doppio. Allora ordinò al nipote di bruciare la foresta e appena le tagliava una testa, bruciava la ferita affinché da questa non ricrescessero altre teste.
Ercole dopo aver bruciato le sei o otto teste mortali, tagliatale quella immortale, tinse nel sangue (per altri nella bile) che ne sgorgò le sua frecce che avrebbero prodotto, così, ferite mortali o incurabili ed infine la seppellì sotto terra e la coprì con un enorme masso. Durante la lotta Era mandò in aiuto dell’Idra un gigantesco granchio che tentò di mordere un piede di Ercole: ma questi lo schiacciò uccidendolo, ed esso fu trasformato dalla dea nella costellazione del Cancro.
Euristeo non considerò valida questa prova perché il tebano era stato aiutato dal nipote.
– Il terribile Cinghiale d’Erimanto, che devastava l’Elide e l’Arcadia, fu la terza delle prove che Euristeo impose ad Eracle. Inseguita la fiera sino sulla cima del monte Erimanto imbiancato di neve, lo stancò e quindi afferratolo per le quattro zampe, la portò vivo ad Euristeo che, al solo vederlo, spaventato, corse a nascondersi in una giara.
Sembra che a Cuma si conservassero le zanne di questo cinghiale.
– La cerva di Cerinèa era l’ultima delle cinque trovate dalla dea Artemide che ne aveva aggiogate quattro alla sua quadriga. Il suo corpo era gigantesco, aveva i piedi di rame e le corna d’oro e si aggirava per le balze del monte Cerine con tanta agilità e leggerezza nella corsa, che nessuno aveva mai potuto raggiungerla.
Ercole l’insegui tutto un anno e finalmente gli riuscì d’abbracciarla mentre stava per sfuggirgli lanciandosi a nuoto nel fiume Ladòne; questa fu la quarta fatica.
– La quinta prende il nome dalle Stalle di Augia, re degli Epei, figlio di Elio (Sole), che incaricò Ercole di ripulirle dal letame che vi si era accumulato in trenta anni, la qual cosa aveva privato il suolo di concime ed il paese era diventato sterile.
Per altri invece, il Peloponneso era coperto da uno strato di sterco così alto che i terreni non potevano essere più arati per essere seminati. Il re gli promise che se fosse riuscito lo avrebbe ricompensato secondo alcuni con la decima parte delle bestie che vi erano ammassate, secondo altri trasmettendogli parte del suo regno.
L’impresa pareva impossibile: ma Ercole riuscì a compierla, deviando nelle stalle il corso del fiume Alfeo e Peneo che riuscirono a spazzar via, con la violenza della loro corrente, tutto l’enorme sudiciume.
Augìa però, saputo che era stato Euristeo ad ordinargli di ripulire le stalle, si rifiutò di mantenere la promessa fatta ad Ercole che anzi fu bandito dal paese.
Anche in questo caso Euristeo non contò questa fatica in quanto Eracle aveva chiesto una ricompensa e perciò aveva momentaneamente cessato di essere al suo servizio.
Perseo
Figlio di Zeus e di Danae, per ordine di Polidette fu mandato alla ricerca di Medusa. Tale impresa ebbe esito felice perché Perseo aiutato da Atena ed Ermes, riuscì a sottomettere le Graie con i sandali alati donatigli da alcune ninfe e, con l’elmo e la bisaccia di Ade, riuscì quindi a raggiungere ed uccidere Medusa. Messa la testa di Medusa nella bisaccia e salito su Pegaso, grazie all’elmo fatato di Ade, riuscì a rendersi invisibile alle altre due Gorgoni e a fuggire. Passò per il Marocco e per la terra degli Etiopi, dove salvò Andromeda dalla morte e la sposò. Raggiunse infine la madre che stava per essere uccisa da Polidette a cui mostrò la testa della Medusa e lo pietrificò. Diede a Ditti il trono del perfido Polidette, restituì i sandali, l’elmo e la bisaccia ad Ermes e consegnò la testa della Medusa ad Atena. Tornò poi con Andromeda e Danae ad Argo e a Larissa, durante una gara di lancio del disco, uccise involontariamente il nonno Acrisio, non volendo salire sul trono prima appartenuto ad Arcisio lo cedette al cugino Megapente, ricevendone in cambio quello di Tirinto. Durante gli anni di pace che seguirono Perseo fondò Micene. I due coniugi, Perseo e Andromeda, furono poi mutati da Atena in due costellazioni del cielo boreale.